Poffabro

La storia

La Storia

La Val Colvera dove sorge Poffabro fu piuttosto frequentata sin dall’epoca romana quando era attraversata, proprio ai piedi del monte Ràut, dalla strada che dalla colonia militare di Julia Concordia apriva la via verso il nord, attraverso le Alpi. 

L’area riporta tracce d’insediamenti antichi, ma per giungere alle prime testimonianze sicure si fa riferimento in primo luogo agli archivi del vescovo di Concordia.

Fra i suoi beni infatti, già nel secolo XI, era catalogata la parrocchia di Poffabro. In secondo luogo esiste una sentenza arbitrale del 1339 dove si menziona “Prafabrorum”, il “prato dei fabbri”, una parte del quale, precisamente la “decimam de Pratum Fabri”, nel 1357 fu riservata dal nobile Galvano di Maniago al figlio Nichilo all’interno del proprio lascito testamentario.

Val Colvera.Per saperne di più

Documentazione  e testi tratti tratta da www.vivivalcolvera.it il bel sito che vi invitiamo a visitare. 

"Per la sua felice posizione – a metà tra il verde riparo delle Dolomiti Friulane e la non troppo lontana pianura – la Val Colvera è stata abitata fin dalla preistoria, come provano tracce di insediamenti umani rinvenuti in alcune delle grotte che costeggiano i suoi torrenti.

Pur lambita marginalmente più tardi da un’antica strada romana di grande passaggio, la valle è riuscita a mantenere un fiero proprio carattere identitario, testimoniato dalle sue peculiarità culturali e architettoniche.

Il nome del capoluogo, Frisanco, viene citato per la prima volta in un documento notarile del 1293 e parrebbe derivare da nome proprio di persona di origine germanica, Freidank, un potentato cui venne assegnato il terreno che accoglie oggi il paese, si ipotizza.

Più chiara è invece la genesi del toponimo di Poffabro, che appare qualche anno più tardi come “Prafabrorum” o “decimam de Pratum Fabri”, un “prato del fabbro” lasciato in eredità dal nobile Galvano, signore di Maniago, al figlio Nichilo nell’anno 1357: nel testo originale si accenna all’esistenza “sulle pendici del monte Raut” di una bottega artigiana del ferro del tutto simile a quelle della vicina Maniago, nota come “città dei coltelli”.

Mentre Poffabro e il “Comunello di Casasola” che un tempo si chiamava Cizarollo (il nome deriva dal fatto che le prime stalle erano state costruite vicino al rugo del Ceresâr – ciliegio – ), andranno col tempo a ricadere sotto la giurisdizione del feudo maniaghese, Frisanco e la vicina Cavasso diventeranno proprietà degli altrettanto potenti conti di Polcenigo: una curiosa frammentazione per un territorio di proporzioni relativamente limitate (le due municipalità verranno riunite solo molto più tardi dal registro napoleonico, ma manterranno fino a i nostri giorni un’altra storica separazione, quella delle due parrocchie delle Santa Fosca e Maura a Frisanco e di San Nicolò a Poffabro).

Nel tardo Medioevo e nei primi decenni dell’Età Moderna, borghi e frazioni iniziarono ad assumere la loro peculiarità di maggiore attrattiva turistica: la splendida architettura tipica della valle, con le abitazioni dipanate in lunghe schiere o in corti chiuse, cui si accede attraverso un arco.

Il patrimonio architettonico valcolverino, le ormai famose case in pietra e legno, originali e perfettamente conservate, coniuga moderni criteri di vivibilità e grande rispetto per la tradizione: in valle prevalgono le splendide abitazioni di arenaria o calcare a tre, quattro piani, con ballatoi in legno, realizzati in materiali strettamente locali, in simbiosi perfetta con la natura in cui paiono fondersi.

La pianta degli edifici segue uno schema comune: al pianterreno cucina e dispensa; al primo piano le camere, al piano più alto fienile e granaio. Un disegno ripetuto che risponde anche a esigenze di carattere pratico: costruire le case l’una ridosso all’altra, presenta indubbi vantaggi di economicità. Ben lo sanno i valligiani che conservano ancora vivo il ricordo degli stenti del passato, quando tra il Sei e il Settecento i loro antenati dovettero presentare numerose suppliche al governo della Serenissima per essere esentati da gravose tasse; appelli di cui vengono conservate tracce scritte anche negli archivi parrocchiali e in cui chi sapeva scrivere si faceva carico di far presente ai governanti che per queste terre era oltremodo gravoso lo scempio dei boschi; valcolverini per rifornire una città lontana, che pensando alle proprie esigenze privava di fatto la popolazione della valle del suo unico, vero bene.

Il peso della dominazione veneziana si risentì anche in un incredibile caso di cronaca avvenuto a metà del Seicento, quando la Santa Inquisizione della città lagunare inviò in valle i propri funzionari a indagare su un presunto caso di stregoneria. Sul Plan di Malgustà, posto a metà del monte Raut – si narrava si svolgessero ogni giovedì notte dei sabba demoniaci.

Gli incontri tra demoni erano animati dalla presenza di streghe provenienti, si diceva, da Frisanco e Poffabro, dove di giorno assumevano sembianze umane e rassicuranti: in montagna, invece, a detta degli inquisitori, rendevano conto al diavolo delle loro malefatte. Scarmigliate, si raccoglievano in cerchio e ballavano calpestando una croce, esibivano i corpi dei neonati che dicevano di aver fatto esse stesse morire per consunzione, si davano a riti cannibaleschi. Testimone dell’evento è il piccolo valligiano Mattia di Bernardone, trasportato nottetempo su un caprone volante al Plan di Malgustà dalla nonna: il bambino verrà sottoposto a un lungo processo dal tribunale della Santa Inquisizione (dal 1648 al 1650) e a molti altri abitanti della valle vennero richieste deposizioni ufficiali, in una vera caccia alle streghe. Dopo due anni di processi, illazioni, accuse e appelli, il clamore scemò e tutto si dissolse in una bolla di sapone: nella città di Pordenone era scoppiato un caso analogo ma di proporzioni molto maggiori, e la curia veneziana trovò più interessante volgere la sua attenzione, abbandonando ogni interesse per il piccolo Mattia e la condotta sospetta della nonna.

Uscita dalla Storia con la S maiuscola, in Val Colvera la vita proseguì per decenni in modo simile a quella di ogni altro comune di montagna dell’alto Pordenonese. Col tempo venne registrato un buon incremento demografico (all’inizio del ‘700 il solo Poffabro con il suo comunello di Casasola contava anime mille) fino alla dolorosa, lunga parentesi dell’emigrazione in Europa e nelle Americhe, favorita anche dall’apertura della strada del “Bus di Colvera” nel 1888, che promosse scambi e commerci con la pianura, ma facilitò anche un inesorabile, parziale abbandono delle borgate".

Testo di Anna Vallerugo

XI d.C.

I Vescovi di Concordia

La parrocchia di Poffabro, già nel secolo XI, era catalogata fra i beni del Vescovo di Concordia, come testimoniati dai suoi archivi. 

1339 - 1357 d.C.

Pra Fabrorum 

Esiste una sentenza arbitrale del 1339 dove si menziona “Prafabrorum”, il “prato dei fabbri”, una parte del quale, precisamente la “decimam de Pratum Fabri”, nel 1357 fu riservata dal nobile Galvano di Maniago al figlio Nichilo all’interno del proprio lascito testamentario.

Metà XVII d.C.

La Santa Inquisizione

Il peso della dominazione veneziana si risentì anche in un incredibile caso di cronaca avvenuto a metà del Seicento, quando la Santa Inquisizione della città lagunare inviò in valle i propri funzionari a indagare su un presunto caso di stregoneria. Sul Plan di Malgustà, posto a metà del monte Raut – si narrava si svolgessero ogni giovedì notte dei sabba demoniaci.

1888 d.C.

Bus di Colvera

Nel 1888 il "progresso" porta all'apertura della strada del “Bus di Colvera”, che promosse scambi e commerci con la pianura, ma facilitò anche un inesorabile, parziale abbandono delle borgate".