Valvasone

Luoghi da scoprire

Il lavatoio

Come si può già notare dalla targa che riporta il nome di questa stretta via medievale – “Contrada del filatoio” – anche questa tappa racconto di Valvasone corre sulla “linea dell’acqua”. Quella della roggia “dei mulini”. Dopo un breve tratto sotterraneo nei pressi di via Erasmo, la via principale del borgo, dedicata al nobile umanista, la roggia riaffiora appena oltre il muretto di cemento. Prima di proseguire diritti e scendere i quattro gradoni in pietra, però, va notato l’edificio a destra, contrassegnato con il numero civico 6: si tratta dell’antica Domus Curiae, il luogo dove si tenevano le pubbliche assemblee, si rogavano i contratti e – in nome dei Conti di Valvasone – veniva amministrata la giustizia. 

Mezzo metro più in basso rispetto al livello della strada, quello spiazzo rettangolare aperto ai bordi della roggia, che termina con una serie di lastroni inclinati e sporgenti sull’acqua altro non sono che gli antichi lavatoi di Valvasone. 

Si può riprendere la nostra macchina del tempo e tornare indietro nei secoli, fino a una giornata di sole del 1394. Le ginocchia a terra, la schiena piegata, il collo e la testa quasi dentro la roggia, una donna sta sfregando sui lavatoi una tovaglia di lino. Non è una tovaglia qualsiasi, ma quella che ricopre l’altare della chiesa, quella su cui il prete spezza il pane al momento dell’eucarestia. La donna continua a sfregare il tessuto di lino, lo spiega, lo rivolta, lo impregna d’acqua. Ma la tovaglia, anziché diventare più pulita, comincia a macchiarsi. Una, due, tre, tante macchie. 

Macchie che si allargano, di colore scuro. 

La donna alza la tovaglia per guardare meglio. 

Quel colore, da scuro, si fa decisamente rosso, inizia a colare lentamente e qualche goccia cade sulla tunica di canapa della lavandaia. 

Che, spaventatissima, all’improvviso raddrizza la schiena e caccia un grido: «Sangue, sangue!» Ma da dove viene quel sangue? La donna è spaventata sì, ma è una popolana, una curiosa e, soprattutto, una che crede in Dio: guarda meglio, e vede che quel sangue è attaccato ad alcuni grumi di pane bianco, il pane azzimo. 

Quello, insomma, usato per le particole e che, probabilmente, è finito tra le pieghe della tovaglia, dopo l’ultima messa. «Ma allora questo sangue è il sangue del nostro signore Gesù Cristo! Miracolo, miracolo! Signor pievano, signor pievano!». 

Ecco, è andata più o meno così, almeno a leggere la cronaca che di questi fatti mirabolanti ci ha lasciato, a metà del ‘700, il più illustre notaio di Valvasone, Antonio Nicoletti. A dire il vero il nostro racconto diverge da quello del Nicoletti per due piccoli, ma importantissimi particolari. La data: Nicoletti scrive “1294”, ma gli studiosi concordano che il fatto sia da posticipare a un secolo dopo. E poi, il luogo: in realtà, quello che è rimasto famoso, fino ad oggi, come il “miracolo della sacra tovaglia”, non è avvenuto nel posto dove ti trovi ora, ma addirittura in un altro Comune, quello di Gruaro, nel Veneto, a circa venti chilometri a sud di Valvasone; e quindi lungo un’altra roggia. Perché, allora, abbiamo deciso di “inscenare” qui, in contrada del filatoio, questa antica storia? Semplice: la tovaglia di lino, imbrattata di sangue e consegnata subito dalla lavandaia al parroco di Gruaro finì, dopo lunghe vicissitudini, proprio a Valvasone, nonostante le proteste tanto del parroco locale, quanto del vescovo di Concordia. Gruaro, al tempo, era infatti sottoposta al feudo dei signori di Valvason-Cucagna, che non si lasciarono sfuggire l’occasione - attorno ai primi anni del ‘400 - di trasferire la preziosa reliquia nell’allora chiesa parrocchiale di Valvasone, dedicata a Santa Maria e San Giovanni. Una piccola chiesa che, per un miracolo così grande, non poteva bastare più. 

Seguendo la roggia, prosegui sempre dritto lungo via Elisabetta Noja, caratterizzata dalle facciate e dai caratteristici portici sottostanti dei palazzi del tre e quattrocento, che seguono il tracciato della seconda cerchia di mura. 

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