Polcenigo

Baroque Stories - Festival MusicAntica a Polcenigo

Il programma

Alessandro Scarlatti
Sinfonia di Concerto Grosso n. 1 in Fa maggiore, 1715
Per 2 flauti dolci, archi e basso continuo
Allegro, Adagio, Allegro, Adagio, Allegro (tarantella)

Domenico Sarri
Concerto in la minore
Per flauto dolce, archi e basso continuo
Largo Staccato e dolce, Allegro, Larghetto, Spiritoso

Antonio Vivaldi
Concerto in sol minore RV 156
Per archi e basso continuo
Allegro, Adagio, Allegro

Alessandro Scarlatti
Sinfonia di Concerto Grosso n. 5 in re minore, 1715
Per 2 flauti dolci, archi e basso continuo
Spiritoso e staccato, Adagio, Allegro, Adagio, Allegro assai

Niccolò Fiorenza
Concerto in la minore, 1726
Per flauto dolce 2 violini e continuo
Largo, Allegro, Grave, Allegro

Antonio Vivaldi
Concerto in Do maggiore RV 533
Per 2 flauti, archi e basso continuo
Allegro molto, Largo, (Allegro)

Lorenzo Cavasanti, Luisa Busca, flauti
Silvia Colli, Francesco Bergamini, violini
Alessandro Curtoni, viola
Antonio Fantinuoli, cello
Maurizio Piantelli, tiorba
Claudia Ferrero, cembalo

Pietro Busca, direttore

Sinfonie e Concerti tra Napoli e Venezia

Il genere del concerto strumentale, nelle sue due declinazioni di concerto solistico e concerto grosso, caratterizzate dalla contrapposizione,
rispettivamente, tra uno o più strumenti solisti o un gruppo di strumenti (detto “concertino”) e il resto della massa orchestrale, si sviluppa nella seconda metà del Seicento ed è una delle più importanti e storicamente rilevanti conquiste del Barocco strumentale italiano. 

Portato a un primo culmine del suo sviluppo da compositori quali Arcangelo Corelli, Giuseppe Torelli e Tomaso Albinoni, il genere si evolve fino a raggiungere il suo vertice assoluto nell’opera di Antonio Vivaldi.

Tra i principali artefici di tale evoluzione vanno sicuramente inclusi i compositori operanti a Venezia, ma non è trascurabile l’apporto degli esponenti della cosiddetta Scuola Napoletana e, in particolare, del suo capostipite, Alessandro Scarlatti.- Quest’ultimo, nelle Dodici sinfonie di concerto grosso, scritte nel 1715 (un anno dopo la pubblicazione, postuma, dei Concerti op. 6 di Arcangelo Corelli), si muove tenendo ben presente il modello istituito dal compositore romano, ma lo arricchisce con una inedita sensibilità concertante, con una notevole raffinatezza nelle scelte timbriche e con tutto il sapere contrappuntistico di cui era depositario. Entrambe le Scuole, quella veneziana e quella napoletana, consolideranno in questo modo un genere che, esportato al di fuori dei confini nazionali, si evolverà fino a plasmare il linguaggio sinfonico classico portato al massimo splendore dai musicisti della Prima Scuola di Vienna (segnatamente da Haydn e Mozart).

Il programma del concerto documenta lo sviluppo del genere concertistico in questi due importanti centri musicali italiani, ma è anche testimone di un incipiente interesse per il flauto traverso (o “traversiere”), che, nella prima metà del Settecento, non era diffuso in Italia quanto il flauto dolce. Non è un caso che ben quattro tra i concerti proposti dal programma (quelli composti da Alessandro Scarlatti, Domenico Natale Sarro e Nicola Fiorenza), siano destinati al flauto dolce e che l’unico originariamente concepito per traversiere sia il doppio concerto composto da Antonio Vivaldi.

La maggiore diffusione del flauto dolce nella penisola italiana trova d’altronde conferma nella testimonianza di Johann Joachim Quantz, flautista presso la corte di Federico il Grande, che, nel 1724, conobbe sia Vivaldi sia Alessandro Scarlatti in occasione del suo viaggio in Italia. Il traversiere suscitò l’interesse di Vivaldi, che allo strumento dedicò ben tredici concerti solistici (due dei quali incompiuti e uno di dubbia autenticità), un concerto doppio (quello incluso nel programma di questo concerto), oltre a diversi concerti da camera e concerti a più strumenti che lo coinvolgono in qualità di comprimario. 

L’opera per traversiere di Vivaldi è dunque da considerarsi pionieristica e getta le basi (per esempio nel celeberrimo concerto detto “Il Gardellino”) per un uso idiomatico dello strumento al quale, fino al Novecento inoltrato, i compositori hanno più volte fatto ricorso.

Danilo Karim Kaddouri